Come estinguere i debiti utilizzando una parte del reddito

In mancanza di patrimonio, il giudice può ridimensionare il debito avviando la liquidazione sulla base del solo reddito, riservando una quota necessaria al sostentamento del debitore e della sua famiglia. 

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La legge 3/2012 prevede espressamente che il debitore civile, “in stato di sovraindebitamento, e per il quale non ricorrono le condizioni di inammissibilità di cui all’art. 7, comma 2, lett. a) e b) , può chiedere liquidazione di tutti i suoi beni” (all'art. 14 ter, l. 3/2012).

Ciò significa che il debitore deve mettere a disposizione tutto il suo patrimonio – beni presenti e sopravvenuti nel quadriennio di durata della procedura ex art. 14 undecies l. 3/2012 – al fine di soddisfare i propri creditori e ottenere l’ambita esdebitazione, ex art. 14 terdecies.

Tutto chiaro se non fosse che l’interpretazione degli operatori giudiziari non è sempre uniforme e sconta alle volte di troppo formalismo, che comporta non solo un’applicazione errata delle disposizioni normative, ma anche generante distorsioni alla ratio della legge sul sovraindebitamento, che è la tutela del debitore.

Orientamenti contrari all’ammissibilità del solo reddito nella liquidazione

Alcuni Tribunali italiani hanno negato, o ritengono di negare, l’accesso alla procedura di liquidazione nel caso in cui l’attivo messo a disposizione da debitore sia costituito solo dal reddito (professionale o da lavoro dipendente).

Tale orientamento si basa sull’assunto per cui la liquidazione del patrimonio presuppone beni o patrimonio da liquidare: l’assenza pertanto di beni mobili o immobili da liquidare farebbe venire meno la ragion dell’istituto. 

Si legga, da ultimo, il Tribunale di Mantova (18/06/2018), che rigetta l’apertura della procedura per liquidazione del patrimonio in quanto “non vi sono beni mobili o immobili da liquidare, di tal che non si giustifica il ricorso alla procedura di liquidazione del patrimonio de qua, che trova evidentemente il suo presupposto nell’esistenza di un patrimonio, per quanto esiguo, liquidabile”.

Secondo questo filone l’art. 14 ter implica l’esistenza di beni suscettibili di liquidazione, mentre il bene “denaro”, essendo già liquido, necessita solo di essere ripartito.

Tale interpretazione va confutata perché:

  • è errata nella sostanza giuridica, 
  • mina l’efficacia pratica della legge 3/2012,
  • di fatto esclude irragionevolmente una platea molto ampia di soggetti dalla possibilità del cosiddetto "fresh start", cioè la ripartenza senza debiti.

Orientamenti favorevoli all’ammissibilità del solo reddito nella liquidazione

Gli argomenti a favore

Gli argomenti a favore dell’apertura della Liquidazione con “solo reddito” sono così riassunti:

  • per “patrimonio” deve intendersi il “complesso dei beni posseduti da un soggetto.
    Nell’accezione giuridica, che riprende quella del diritto giustinianeo, è insieme di tutti i rapporti giuridici facenti capo a un soggetto e aventi valore economico. Con riferimento a questo particolare e ristretto significato, si parla di responsabilità patrimoniale del debitore (rif. art. 2740 c.c.)”.
  • L’art. 810 c.c. afferma che “sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti”, e come tali devono considerarsi le somme di denaro.

Fino a qui è pacifica l’inclusione del bene “denaro” e crediti futuri tra i beni mobili: beni aventi la caratteristica della fungibilità, generatori di frutti civili, nonché è possibile includerli tra i beni facenti parti del “patrimonio” di un soggetto, anche in quanto bene per eccellenza oggetto di aggressione da parte dei creditori.

Altri elementi a favore

  • nella liquidazione vi è una devoluzione totale dei beni del debitore, presenti, futuri e sopravvenuti, all’amministrazione del Liquidatore affinché provveda al pagamento (anche parziale) dei creditori intervenuti;
  • la liquidazione comprende tutti i beni del debitore presenti e sopravvenuti nell’arco del quadriennio di durata della procedura di sovraindebitamento (art. 14 undecies);
  • la procedura di L. non comprende a) i crediti impignorabili ex art. 545 cpc; b) i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento; c) gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività nei limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia; d) i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi; e) le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge (es. fedi nuziali);
  • il termine di “liquidazione” utilizzato all’interno della legge è più riferibile al nomen della procedura che alla pura attività di “trasformazione” di beni mobili in denaro. Ed infatti l’attività demandata al Liquidatore è una attività complessa e molteplici sono i compiti che lo stesso deve svolgere: formazione dell’inventario, elaborazione del programma di liquidazione, comunicazione ai creditori, amministrazione dei beni compresi nella Liquidazione, accertamento dei crediti, cessione di crediti non incassabili nei quattro anni, predisposizione dei piani di riparto e così via.

Dati letterali e logico-giuridici a supporto dell'ammissibilità

A conforto di quanto sopra illustrato, vengono in rilievo sia dati letterali, che logico-giuridici:

  • art. 14 ter, comma 1, ove il legislatore dispone che il debitore può chiedere la liquidazione di “tutti i suoi beni”, senza esclusioni e/o limitazioni di sorta;
  • art. 14 ter, comma 6, dove, nel descrivere i beni non compresi nella Liquidazione del patrimonio cita espressamente le retribuzioni, stipendi, salari e pensioni nel limite di quanto necessario al mantenimento del debitore e della sua famiglia. Ciò significa che la quota di retribuzione, stipendio, salari e/o pensione eccedente tale porzione è oggetto della procedura di liquidazione ed entra far parte di quei beni genericamente indicati che serviranno a soddisfare i creditori partecipanti alla procedura;
  • art. 14 quinquies, lett. d), che impone l’obbligo di trascrizione del decreto “quando il patrimonio comprende beni mobili registrati e beni immobili”, contemplando quindi anche l’ipotesi in cui tali beni non siano presenti;
  • art. 14 novies, comma 2, con cui si risponde che “fanno parte del patrimonio di liquidazione anche gli accessori, le pertinenze e i frutti prodotti dai beni dei debitore” , qui dovendosi intende chiaramente anche i frutti civili generati dal bene denaro;
  • art. 14 novies, comma 3 con cui, tra le attività del Giudice, si cita espressamente l’autorizzazione allo “svincolo delle somme”, da intendersi qui non solo quelle ricavate dalla vendita dei beni, ma anche dei denari presenti sul conto corrente della procedura che, unitamente alle prime, saranno oggetto di riparti.

Il parere del professionista di Ri.Analisi, Avvocato Francesca Randi

Non vi sono dubbi circa l’ammissibilità di un accordo o piano del consumatore costruiti su un attivo costituito solo da crediti e/o denari, in assenza di patrimonio mobiliare o immobiliare da liquidare.
La stessa giurisprudenza che nega l’ammissibilità di una liquidazione con solo reddito, ripone l’attenzione sulla ricorribilità ai diversi istituti dell’accordo e del piano del consumatore. Qualora questi accordi non vengano rispettati (annullamento, risoluzione o cessazione degli effetti), nell’ipotesi di cui all’art. 14 quater, “il giudice, su istanza del debitore o di uno o più creditori, dispone la conversione della procedura in Liquidazione”.

Se si seguisse la corrente contraria all’ammissibilità di una liquidazione con solo denaro o crediti, si arriverebbe ad una contrasto interno tra norme, che il Legislatore non pare avere voluto: si ammetterebbe per assurdo l’accesso ad una liquidazione con beni già liquidi solo in ipotesi di conversione di accordo o piano del consumatore, con rimando a tutta la disciplina di cui agli art. 14 ter e s.s., ma rimarrebbe esclusa la possibilità di accedervi per il debitore in via diretta alle stesse condizioni. 

Si ricorda e ribadisce che l’elemento oggettivo idoneo a qualificare lo “stato di sovraindebitamento” si identifica nell’impossibilità di far fronte ai propri debiti, concetto del tutto slegato ed autonomo rispetto alla presenza di beni mobili o immobili da mettere a disposizione dei creditori.

Non ci si può, infine, esimere dal considerare lo scopo della legge e dell’istituto della liquidazione che ha come finalità prìncipe quella della esdebitazione del debitore, senza vedere la stessa esdebitazione e i requisiti per il suo ottenimento come un limite a monte sindacabile per valutare l’ammissibilità dell’ingresso nella procedura liquidatoria: il Legislatore ha voluto dare, in primis, importanza alla volontà del debitore di mettere a disposizione tutti i propri beni e, solo in un secondo momento, ha conferito un’ampia discrezionalità al Giudice nel valutare – se e quando verrà chiesta – le condizioni per la pronuncia della tanto agognata esdebitazione.

A sommesso parere di chi scrive pertanto sarebbe non solo contra legem negare l’accesso alla procedura di liquidazione a chi, inizialmente, è solo titolare di reddito (denaro o crediti futuri), bensì significherebbe negare l’efficacia pratica della legge e privare la stessa dello spirito per cui essa è stata concepita.

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DATA PUBBLICAZIONE:
12 Aprile 2019