Imprese agricole e sovraindebitamento: i passi da seguire

I problemi con le quote latte ed altre difficoltà di settore, possono mettere in crisi imprenditori agricoli e allevatori. Ecco quali sono i modi per uscirne legalmente e in maniera definitiva.

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Le imprese agricole, per loro natura giuridica, non possono essere dichiarate fallite

Se l'imprenditore agricolo si trova in una situazione di crisi debitoria, non può accedere alle normali procedure fallimentari, ad esclusione degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis, previste per le imprese commerciali. 

La ex Legge 3/2012, confluita nel Codice della Crisi D'Impresa e dell'Insolvenza, è quindi al momento l'unico strumento per fornire aiuto agli imprenditori agricoli che si trovano in una situazione di sovraindebitamento.

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Questo articolo è stato aggiornato. Leggi l'approfondimento su agricoltori e sovraindebitamento

I numeri del settore agricolo in Italia

In Italia le imprese attive nel settore agricolo nel 2018 erano 718.446. 

Fra queste i produttori di latte bovino erano 36.742 con una raccolta di latte di 120.707.502 quintali. (fonti: dati Unioncamere-Infocamere e Istat “Indagine annuale sul latte e sui prodotti lattiero-caseari 2018”)

Negli anni ‘90 le imprese attive erano ben 180.000. In pratica da allora solo 1 stalla su 5 è sopravvissuta

Questi numeri ci aiutano a capire la portata del comparto primario italiano e la difficoltà che moltissime imprese hanno dovuto affrontare negli ultimi anni.

Quote latte: uno dei motivi più gravi di sovraindebitamento

Fra i tanti adempimenti ai quali le imprese agricole sono soggette, uno in particolare ha generato problemi anche gravi e situazioni di crisi che si sono protratte nel tempo.
Stiamo parlando delle cosiddette “quote latte”: un parametro adottato a livello europeo per il settore agricolo, ma che in Italia, più che altrove, ha messo in ginocchio moltissime aziende.

Origine e evoluzione del sistema di contingentamento delle quote latte

La quota latte era un limite sulla produzione di latte per ciascun allevatore nella Comunità europea, oltre il quale si applicava una tassazione detta “prelievo supplementare”. 

Introdotta dal regolamento comunitario 856/1984 del 31 marzo 1984, sostituita poi dal regolamento 3950/92 del 28 dicembre 1992 e dal regolamento 1788/2003 del 29 settembre 2003, è infine cessata dal 1° aprile 2015

Quale strumento di politica agraria comunitaria, la quota latte non era da intendersi come un divieto a produrre oltre il limite della quota stabilita, bensì un contingentamento della produzione del latte per evitare che, diventando eccessiva, portasse ad un calo del prezzo di vendita. 

Conseguenza della misura era che il produttore era obbligato, in caso di superamento della quota, a versare non una sanzione bensì un tributo (prelievo supplementare), che nel suo ammontare rendeva di fatto antieconomica una produzione eccessiva oltre il limite individuato a livello comunitario.

Il mancato controllo e lo sforamento

L'Italia però in quegli anni produceva meno del proprio fabbisogno nazionale, al contrario ad esempio della Francia che fu tra le prime promotrici del sistema delle quote.
In più gli allevamenti italiani erano delle microimprese e la raccolta dei dati e il monitoraggio avrebbero avuto bisogno di un'amministrazione dedicata che invece non esisteva.
Sta di fatto che la quota italiana si fermò a 9 milioni di ettolitri. 

L’allora Ministro delle Finanze promise l'impunità agli allevatori che avessero sforato: l'Italia aveva condiviso le regole, ma se i suoi allevatori non le avessero rispettate non avrebbero dovuto mettere un soldo. Al loro posto, infatti, pagava lo Stato.

Ci fu quindi per decenni una totale incapacità e superficialità da parte degli organi di controllo regionali nell'ottemperare ai propri obblighi di accertamento sui dati forniti dagli allevatori e dai primi acquirenti.

Se queste attività di vigilanza e controllo fossero state effettivamente svolte, tutte le questioni di carattere economico e amministrativo, non si sarebbero poste perché sarebbe stato impedito di violare, per decenni, le regole che le istituzioni dell'UE e poi quelle interne avevano posto a tutela del corretto conteggio delle quote latte e dei produttori onesti.

Questo fenomeno di assenza di controlli ha prodotto drammatiche e insanabili conseguenze in termini non soltanto di distorsione del tessuto economico e della concorrenza tra imprese di allevatori e produttori di latte che hanno operato non in condizione di parità, ma anche di disaffezione rispetto alla cosa pubblica e al doveroso rispetto delle regole.

Lo stop dal Consiglio di Stato

Con sentenza del 18 ottobre 2019, il Consiglio di Stato ha annullato il prelievo supplementare imputato ai produttori di latte bovino che hanno superato la loro quota nelle campagne di commercializzazione 1996-97 e 1997-98 e non hanno beneficiato della compensazione di fine periodo. 

La pronuncia è stata presa a seguito della sentenza della Corte di Giustizia europea del 27 giugno 2019, con la quale si dichiarava incompatibile con il diritto comunitario il sistema utilizzato dall’Italia per attribuire gratuitamente a fine campagna le quote inutilizzate da parte degli allevatori che avevano consegnato un volume di latte inferiore alla soglia individuale disponibile.

Per le aziende protette da specifiche priorità e che quindi non sono state coinvolte finora nella fase di imputazione delle multe, le conseguenze sono ancora da valutare.

La politica dovrà ora prendere nuove decisioni e predisporre gli interventi per conteggiare nuovamente il prelievo supplementare nel rispetto delle recenti sentenze intervenute.

Le conseguenze fra i produttori lattiero-caseari

Appare necessaria una revisione completa di tutto il sistema delle quote latte, non solo le multe che riguardano le aziende protagoniste del ricorso.

Le compensazioni sull'entità delle quote individuali sono state riconosciute come errate, quindi gli stessi errori ricadono su tutti gli allevatori. Quelli finora in regola potrebbero trovarsi a pagare multe non previste, mentre quelli che si sono opposti al sistema delle quote latte potrebbero pagare più del dovuto.

Il ricalcolo potrebbe allargarsi

In questo momento la sentenza del Consiglio di Stato riguarda due annate, il 96-97 e il 97-98, che sono gli anni delle contestazioni più accese.

In realtà il meccanismo delle compensazioni, risultato non corretto, è stato lo stesso anche per gli anni successivi, fino al 2004.

Solo in seguito, sono state riviste le procedure con il Regolamento europeo 1788/2003, autorizzando gli stati membri a procedere alla riassegnazione delle quote in base a criteri decisi dagli stessi Stati e dunque diversi da quello proporzionale.

Il rischio maggiore è quello di dover pagare molto più del previsto e in una situazione già critica, ne conseguirebbe un danno molto grave. L'obbligo di ricalcolo vale per tutti, sia per gli allevatori che hanno pagato mensilmente il prelievo, sia per quelli che non l'hanno mai fatto. Ben più grave, l’obbligo del pagamento delle multe spetta comunque ai singoli allevatori che hanno sforato.

L’azienda agricola in crisi può ricorrere alla ex Legge 3/2012

Fortunatamente esiste un modo per chiudere i conti con i debiti del passato e rientrare a pieno regime nel circuito economico. Il "sovraindebitamento" di fatto è la situazione di perdurante squilibrio tra debiti contratti e patrimonio disponibile, che determina l’incapacità di farvi fronte regolarmente. 

La ex Legge 3/2012 garantisce la possibilità al debitore che risponde a precisi requisiti, di poter rinegoziare legalmente i debiti, sulla base della reale capacità di procedere ai pagamenti. Essa consente allo stesso debitore, con onestà e trasparenza, di pagare solo quello che effettivamente può pagare ed alla fine del procedimento, soddisfacendo i creditori parzialmente, lo stesso chiude tutte le posizioni debitorie e riparte da zero.

La ex Legge 3/2012 si rivolge esclusivamente ai soggetti non fallibili che non hanno commesso atti in frode ai creditori e che non hanno contratto un indebitamento colposo. Si tratta di una situazione tipica del mondo dell’agricoltura, caratterizzato da imprenditori che hanno dovuto affrontare particolari difficoltà dettate da elementi come diminuzione dei prezzi, calamità che hanno compromesso i raccolti, multe per quote latte o difficoltà del sistema creditizio a erogare il credito. 

La ex Legge 3/2012 offre quindi l’unica alternativa possibile al soggetto sovraindebitato e, contestualmente consente a tutti gli operatori interessati alla singola situazione di ottenere il massimo del risultato possibile.

Le due procedure a disposizione

Grazie alla ex Legge 3/2012, ora riformata, l'impresa agricola può ricorrere a due procedure:

  • Accordo di Composizione della Crisi (ora Concordato minore);
  • Liquidazione del Patrimonio (ora Liquidazione controllata).


Con l’Accordo di Composizione della Crisi, l’azienda può concordare con i propri creditori un rientro e/o una ristrutturazione del debito, anche parziale, purché sostenibile finanziariamente.
L’azienda, in questo modo, può riavviarsi e sanare in un tempo accettabile i propri debiti.

La Liquidazione del Patrimonio avviene quanto l'azienda mette a disposizione il “proprio patrimonio” per poter far fronte alle richieste dei creditori. E' possibile, in questo caso, ottenere una sensibile riduzione o addirittura l’azzeramento dei debiti e poter ridare una vita dignitosa all’imprenditore e ai soci coinvolti.

La scelta tra un percorso o l'altro viene analizzata dai professionisti che conoscono a fondo le problematiche specifiche di ogni impresa, prospettando una soluzione definitiva. 

Fare affidamento a professionisti esperti significa evitare errori nella presentazione della documentazione o nell’applicazione della legge; errori che impedirebbero al soggetto di accedere ai benefici della legge per 5 anni.

Se anche tu hai problemi di sovraindebitamento,  contatta ora i nostri esperti per risolvere la tua situazione specifica.

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DATA PUBBLICAZIONE:
24 Febbraio 2020
Categoria: Soggetti